Young perspectives on an old continent – Giovani occhi per il vecchio continente

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Sui libri di scuola l’Europa viene descritta come un grande laboratorio di democrazia, ma ai ragazzi di oggi che sono in cerca di una chiave che apra la porta del loro futuro, c’è il rischio che appaia  piuttosto come un museo. Un patrimonio che appartiene alla storia, appiattito in un racconto in bianco e nero nello spessore del tempo.

L’Europa di oggi agli occhi dei giovani si presenta in modo ambivalente, da un lato offre grandi opportunità e promesse di futuro, dall’altro chiede di partecipare attivamente in uno scenario in cui non c’è fiducia nelle istituzioni e la partecipazione a livello internazionale risulta alquanto difficile. Nel secondo dopo guerra il richiamo della liberà e della pace era chiaro, l’attivismo si immedesimava nella vita stessa delle persone; adesso che invece in Europa questi principi sembrano almeno culturalmente acquisiti, non è immediato collegare il significato del progetto Europeo alla vita di tutti i giorni, mentre la politica continua a riprodurre i propri schemi nazionali.

Il tempo dell’impegno sociale e del volontariato cede il passo al mondo virtuale, privatizzato, in cui la partecipazione si trasforma in campagne on-line (giustizia, consumo consapevole, ambiente…) oppure si gioca a livello locale, in gruppo, tra pari. Ed è su questo terreno che forse le istituzioni dovrebbero interloquire. Va risolta inoltre un’altra profonda contraddizione: l’Europa non può incentivare solo borse di studio e incoraggiare gli studenti a specializzarsi per poi essere respingente e impenetrabile nel momento in cui si tratta di trovare lavoro.

L’Unione Europea si trova così di fronte a un vuoto che non è solo politico ma anche identitario, che mette in discussione il suo stesso esistere. In questo quadro sembra che finalmente anche a livello europeo sia stata presa sul serio la necessità di dare un nuovo impulso alle politiche rivolte alle giovani generazioni, in particolare rispetto al dato preoccupante della disoccupazione giovanile, che in alcuni paesi si aggira intorno al 40%. E’ stata avviata così una nuova strategia di intervento che prende il nome di Garanzia Giovani e ha per obiettivo proprio di favorire una maggiore integrazione nel mondo del lavoro attraverso percorsi di alternanza studio lavoro, tirocini, riconoscimento delle competenze, facilitando la mobilità internazionale come precondizione per l’accesso al mercato internazionale.

Chi diventa maggiorenne oggi ha in effetti molte opportunità per vivere pienamente da cittadino europeo, di viaggiare liberamente e studiare in un paese diverso da quello di provenienza. Grazie al nuovo programma Erasmus+ (2014/2020) la possibilità di trascorrere periodi di formazione all’estero viene estesa anche agli imprenditori, a chi lavora, non è più riservata a studenti universitari o insegnanti. L’obiettivo è renderla un’esperienza possibile per tutti.

Una recente ricerca* condotta nell’ambito del Programma Lifelong Learning su un bacino di 40.000 ex borsisti Erasmus e Leonardo ha messo in evidenza la centralità della “Mobilità internazionale come fonte di crescita personale e professionale, autonomia e occupabilità” (2015). Il progetto, cofinanziato dalla Commissione Europea, ha coinvolto 14 paesi e 18 organizzazioni internazionali con l’obiettivo di valutare nel tempo l’impatto di queste esperienze sulla cosiddetta Generazione Erasmus. La ricerca conferma che la mobilità rappresenta per la grande maggioranza dei partecipanti un’occasione concreta di educazione alla cittadinanza e di apprendimento, quanto a senso di iniziativa e imprenditorialità, capacità di comunicazione in una o più lingue straniere e genera in loro una prospettiva più attenta e consapevole verso la diversità culturale, le relazioni interculturali, gli affari europei, quasi una sindrome di attaccamento all’Europa.

Nella ricerca si delineano tre profili, tre tipologie di partecipanti che si caratterizzano per aggregati abbastanza omogenei nelle risposte: abbiamo l’ “Euro-entusiasta”, innamorato dell’Europa e delle sue diversità, non perde occasione per apprezzarne le particolarità in tutte le sue sfumature, passando da una borsa di studio all’altra, in ogni città d’Europa si sente a casa; l’ “Euro-pessimista”, che pur avendo apprezzato l’esperienza del periodo formativo all’estero, non si illude che la realtà possa cambiare facilmente, è sfiduciato, è molto critico  verso le istituzioni e la politica, è un cittadino informato, ma non si lascia coinvolgere; e, infine, “il cittadino del villaggio globale”, che non vede più confini ma una sola umanità, e dunque non circoscrive i propri  interessi al vecchio continente come centro del mondo, ma sottolinea l’interdipendenza mondiale e  i legami di solidarietà internazionale.

Questa ricerca, che giunge in un periodo in cui le Istituzioni Europee sono considerate molto negativamente dall’opinione pubblica, riferisce comunque di un atteggiamento positivo verso l’Europa come progetto ideale. Viene messa in evidenza non tanto la sua lontananza dai cittadini, quanto piuttosto una distanza tra i principi di riferimento e la loro attuazione pratica, l’incapacità di interpretare e affrontare i cambiamenti della società. L’Europa dei giorni nostri è stata portata avanti pensando troppo al suo funzionamento piuttosto che a un’analisi effettiva dell’impatto delle politiche sulle persone e la solidarietà si è smarrita in nome del pareggio di bilancio. L’inevitabile perdita di legittimità del progetto Europeo che ne è conseguita va presa molto sul serio, ci riguarda tutti. Abbiamo bisogno di una nuova narrazione collettiva, di ritornare alla dimensione simbolica dell’Europa del mito, come a una nuova cosmogonia, che unisca terra, mare e cielo, oriente e occidente. Il nome stesso di Europa, ambivalente persino nella sua etimologia, dal greco “ampio sguardo” o dall’ebraico “terra del tramonto”, ci interroga profondamente sul nostro futuro. Quale modello sociale vogliamo? Per quali valori lottare oggi? Vogliamo essere un continente aperto o sulla difensiva? Una fortezza o una terra promessa?

Se facciamo riferimento alla dignità e al rispetto dei diritti umani, che sono poi alla base dell’umanesimo e dell’illuminismo, ecco che la risposta la troviamo subito nei valori fondanti della nostra cultura. Difficile distinguere in questo ambito le sfide interne da quelle esterne. La politica non va lasciata da sola in questo scenario, lo spazio di dibattito pubblico è di tutti, non solo di chi lavora a Bruxelles o ha un ruolo nelle Istituzioni. Occorre rendere tangibili i risultati positivi e raccontarli molto di più. C’è un nuovo immaginario da costruire attorno al senso di appartenenza e di identità, su cui ciascuno di noi può lavorare a partire dal basso, dalle città, che sono il “sistema nervoso” dell’Unione Europea. La scuola, la pubblica amministrazione, il terzo settore… ognuno può essere dove opera “custode della convivenza”. Come diceva Italo Calvino ne “Le città invisibili”: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
 

* i risultati della ricerca sono disponibili sul sito www.mobgae.eu

Project code 543296-LLP-1-2013-1-IT-KA4-KA4MP

 

Bibliografia

Il mito di Europa. Radici antiche per nuovi simboli. Luisa Passerini (Giunti, 2002)

Europe, a civil power: lessons from EU experience. Tommaso Padoa- Schioppa (Paperback, 2004)

“E’ l’Europa che ce lo chiede!” Falso! Luciano Canfora (Laterza, 2012)

La traversata. Fabrizio Barca (Feltrinelli, 2013)